Patenti false

La notizia è recente: “Vendevano patenti di guida agli immigrati”.

07 Jul 2012 motorpad.it
Patenti false
La notizia è recente: “Vendevano patenti di guida agli immigrati”. Cos’è legittimo provare nei confronti di titolari di scuola guida concilianti che a tariffario variabile si mostrano pronti ad assicurare il passaggio dell’esame a gente che a volte non è neppure in grado di proferire una sola parola in italiano? Cos’è lecito nutrire verso funzionari compiacenti che a suon di mazzette son pronti a chiudere anche tutti e due gli occhi nei confronti di persone che non conoscono affatto le nostre leggi, il nostro codice della strada? Indignazione? Sdegno? Riprovazione?

C’è un valore negativo in questa penosa e desolante vicenda che di là dalle accuse sottese di associazione per delinquere e di falso in atto pubblico (reati per cui si prospettano o il patteggiamento o il processo con rito ordinario) impone a mio avviso una riflessione seria sulla dimensione sociale del problema visto che il 20% delle vittime della strada (il 25% in regioni ad alta densità di immigrati come la Lombardia) è straniero.

Per quanto già 2500 anni fa Euripide esortasse saggiamente gli stranieri ad adattarsi alla città e sebbene l’integrazione sia ancora argomento delicato da trattare, per il timore di qualunquistiche generalizzazioni di comodo e l’onda lunga di possibili derive razziste, le conclusioni dello studio condotto dall’ASAPS (Associazione Sostenitori Amici Polizia Stradale) su 1000 gravi incidenti occorsi sulle nostre strade ci dicono impietosamente del ruolo da protagonista che svolgono gli stranieri in questi eventi: romeni in testa (21.7%, pari al 75,3% del totale dei comunitari) seguiti a ruota da africani (20,3%), asiatici (11,5%) e sudamericani (6,6%).

Non tamponamenti da nulla, ma sinistri con morti e feriti che impongono ogni volta interventi articolati delle forze dell’ordine e dispendiose operazioni di soccorso, con costi sociali derivanti ossia con una quantificazione economica del danno subito per la società (e dunque di spesa per il cittadino) pari a 30 miliardi di euro/anno. Costi dovuti perlopiù ad episodi di autentica pirateria stradale, favoriti spesso da percezione insufficiente del rischio, cattiva conoscenza delle norme, impiego di mezzi insicuri.

Su questi temi sono state intraprese nel corso degli anni molte campagne per favorire la sensibilizzazione alla sicurezza dei cittadini stranieri residenti. Progetti volti ad eludere le tante aperte violazioni alle norme vigenti attraverso la comprensione della lingua e della segnaletica, la promozione del rispetto delle regole, l’adozione d’adeguate procedure di controllo e di manutenzione del mezzo, una corretta informazione sulle insidie di una mobilità e di condizioni climatiche diverse da quelle del paese d’origine. Insomma non solo solidale fratellanza di fronte a sciocchi pregiudizi ma un impegno appassionato di tanti amministratori virtuosi animati dal desiderio di operare un cambiamento concreto.

Una buona causa per non esser complici di palesi inadeguatezze: mancato impiego dei dispositivi di sicurezza, guida contromano, in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di droghe e più in generale per disciplinare condotte socialmente censurabili come la gestione promiscua del parco auto, l’uso di mezzi intestati a persone irrintracciabili o inesistenti, la circolazione senza assicurazione. Siccome diffido del banal-buonismo e per dirla con il filosofo Gilles Deleuze, trovo che l’intollerabile non sia solo un’enorme ingiustizia ma lo stato permanente del quotidiano, mi auguro che il Paese ritrovi alla fine la capacità di vergognarsi di fronte a sistemi collaudati di corruzione come questo e che la smetta una volta per tutte di mostrarsi debole con chi è scaltro e spiacevolmente furbesco. Che impedisca ad imbroglioni che infrangono regole sociali sempre più deboli, di ricominciare dopo poco a fare le stesse cose riprovevoli. Per farla breve: che si sottragga una volta per tutte al principio assolutorio del cosi fan tutti. Perché il Paese a cui s’appartiene non è solo quello che si ama ma quello di cui a volte ci si vergogna.
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